Sessisti

C’è un aspetto della nostra società che, usando espressioni allegoriche, viaggia a pelo d’acqua o sotto traccia nella nostra cultura. Ha radici lontane che si perdono in tempi remoti ma che ci accompagna costantemente rendendoci tutti sessisti senza che se ne abbia coscienza e di tanto in tanto riemerge dando vita a espressioni culturali, movimenti e ideologie riproponendo ogni volta, anche se con modalità diverse, sempre lo stesso argomento su cui si dibatte, ci si confronta e ci si scontra senza mai venirne fuori con una soluzione.
Il problema ha dell’incredibile se si pensa che, al di là di ogni apparenza e dei suoi molteplici risvolti, riguarda essenzialmente il sesso facendo di ciascuno, suo malgrado, una sorta di sessista. Sesso qui inteso non come atto carnale ma come differenza di genere a cui comunque la definizione di sessista si adatta.
Guardando indietro nella storia si riscontrano infiniti casi e situazioni in cui l’aspetto in questione riguarda il sesso e più esattamente la contrapposizione tra maschile e femminile. Nella nostra cultura questa distinzione ha portato a separazioni nette tra uomo e donna all’interno della nostra società e che tutt’ora esiste anche in altri paesi al di fuori dell’Italia. Basti pensare che perfino alcune leggi del passato ma anche quelle attuali prevedono in determinati casi, un trattamento diverso tra uomo e donna nonostante si siano fatti passi avanti per tentare di raggiungere l’agognata parità dei sessi.
Negli ultimi decenni si sono intraprese battaglie forti, come il movimento femminista, per far sì che fosse modificato l’approccio culturale che discriminava il sesso femminile a vantaggio di quello maschile, retaggio di una cultura patriarcale che poneva l’uomo in una posizione dominante. Recentemente poi il problema è riemerso di nuovo riproponendo la questione sotto un aspetto linguistico che a detta dei sostenitori (ma più numerosamente sostenitrici) palesava la differenziazione fra i sessi proprio attraverso le parole.
È quindi emerso che la nostra lingua utilizza al maschile e in modo indifferenziato parole che invece andrebbero dette al femminile qualora riguardassero una donna anziché un uomo. E questo a dispetto del fatto che già alcune parole fossero declinate al femminile proprio in osservanza di tale principio. Per esempio dottore e dottoressa, professore e professoressa, maestro e maestra. Ma questo evidentemente non era sufficiente a completare il processo di parificazione per cui si è proposto di definire nuove parole come sindaca anziché sindaco, chirurga, notaia e via dicendo. Tutto questo a rischio di condire il linguaggio con il risultato di renderlo in alcuni casi cacofonico se non addirittura stravagante.
Va riconosciuto che il processo per raggiungere la parità dei sessi è in continua mutazione proprio per via del cambiamento sociale che ha portato le donne a svolgere ruoli e professioni che in passato erano appannaggio prevalente se non esclusivo degli uomini. Giocoforza quindi si rende necessario adeguare la lingua alle nuove esigenze determinate da quelle situazioni lavorative che in passato per le donne non erano contemplate.
Resta comunque il fatto che da un confronto con altre lingue estere questo aspetto sembra essere marginale. Nella lingua inglese, che prendo come esempio perché a me più familiare, l’articolo determinativo non fa differenza per i generi maschile e femminile. Infatti gli articoli “la” e “lo” sono tradotti da un unico “the” che vale per entrambi indifferentemente. Inoltre manca quasi in assoluto la differenza di genere per quanto concerne animali e cose che rientrano tutti, salvo eccezioni, nel genere neutro. Non esiste per esempio differenza di genere tra la porta (femminile) e il portone (maschile), tra la barca (femminile) e il gommone (maschile), tra la pentola (femminile) e il coperchio (maschile).
Restano invece le differenze di genere per le persone ma stranamente scompaiono per le professioni e categorie di persone, anche qui con qualche eccezione. Il dottore o la dottoressa sono doctor, lo scienziato o la scienziata sono scientist, il guidatore o la guidatrice sono driver, il passeggero o la passeggera sono passenger, il lavoratore e la lavoratrice sono worker, mentre negli equipaggi di volo l’uomo diventa steward e la donna hostess, e nel cinema l’attore è actor e l’attrice actress. Ma il direttore e la direttrice sono entrambi director.
Senza nessuna pretesa di voler tenere una lezione di lingue, rimane comunque evidente che la differenza di genere nel linguaggio corrente è assai variegata e diventa un vero rompicapo nel cercare di uniformarla o, per chi vorrebbe differenziarla, trovare parole che determinino il genere di appartenenza.
Se poi si passa ad analizzare l’aspetto di genere in maniera globale ci si accorge che nella nostra lingua il maschile e il femminile vanno a classificare perfino animali e cose, con una disparità di trattazione impressionante per la sua contraddittoria e quanto mai fantasiosa denominazione. Abbiamo quindi il maiale e la scrofa, l’elefante e l’elefantessa, il leone e la leonessa, il cane e la cagna, ma guarda un po’ ci manca la coniglia così come la tigre è femmina ma non ha il maschile insieme alla giraffa, la foca e la balena. Viceversa al cervo, al castoro e al topo manca il femminile. Fin qui ci potrebbe stare visto che anche fra gli animali esiste una differenza di sesso. Ma il bello, o l’assurdo, è che la nostra lingua prevede un sesso anche per le cose, nonostante che esse ne siano prive. Infatti abbiamo il tavolo (maschile) e la tavola (femminile) e poi il legno per costruire (maschile) e la legna da ardere (femminile), la giacca che è femminile se piccola ma diventa giaccone maschile se grande. Si potrebbe andare avanti enumerando tutte le specie per trovare le bizzarrie di una lingua che insiste nel differenziare cose e animali secondo un criterio sessuale anche se il sesso non c’entra affatto, ma che denota una forte differenziazione di genere di stampo sessista.
È curioso però notare che il vaso (maschile) contiene la terra (femminile) mentre la cassettiera (femminile) contiene i cassetti (maschile) e che la scala (femminile) ha i gradini (maschile) mentre il tavolo (maschile) ha bisogno delle zampe tutte e quattro al femminile e infine il fuoco (maschile) non può ardere senza la legna (femminile). Che sia un messaggio subliminale da cui trarre una riflessione sulla necessità di integrare i due generi, che hanno bisogno l’uno dell’altra, e fonderli in un unico caldo abbraccio?
In finale resta quindi un quesito che pone una domanda ancora più complessa. E cioè: è la lingua che determina e influenza i costumi o sono i costumi a influenzare e modificare il linguaggio?
11-12-2018

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