Andare al ristorante

È universalmente riconosciuto che agli italiani piace mangiare bene e nella quasi totalità dei casi mangiare al ristorante fa parte di quella cultura collettiva che, a livello mondiale e per svariate ragioni, è ritenuta tipicamente italiana. Pochi però, ritengo, seguono delle regole o dei criteri di scelta del tipo di ristorante ma soprattutto di selezione dei cibi, quando decidono di mangiare fuori casa. Da queste considerazioni sono esclusi i pranzi di lavoro e di affari, i pranzi commemorativi o di festeggiamenti e tutte quelle altre occasioni in cui il mangiare bene passa in secondo piano.

In casa, presumibilmente ma non è necessariamente sempre vero, la cucina è in teoria più genuina, anche se il più delle volte i cibi sono cucinati in maniera poco professionale. Non tutti sono cuochi nati e di solito ci si arrangia alla meglio, salvo in quei rari casi in cui qualcuno ha la passione di cucinare nel sangue e ama destreggiarsi con le pentole. Per chi non ha tale dimestichezza con i fornelli, va bene anche un McDonald. Con questa premessa, una volta che si è deciso di mangiare in un ristorante si dovrebbero, a mio avviso, seguire alcuni criteri di base.

Il primo fra tutti, la scelta del ristorante dovrebbe essere ponderata a fondo e si dovrebbe riflettere bene su ciò che si vuole prima di iniziare una meticolosa ricerca dei locali che rispondono ai requisiti che ci siamo posti come riferimenti imprescindibili. Per mio conto evito a priori quei locali dove si organizzano ricevimenti o che hanno più di una quarantina di coperti, mentre prediligo quelli che sono frequentati da clienti che rispettano l’ambiente e hanno quel minimo di educazione per evitare chiassose discussioni o un vociare invadente. A tavola è piacevole scambiare due chiacchiere ma alcuni locali sono così assordanti che non si riesce nemmeno a capire cosa ti suggerisce il cameriere. Banditi poi in assoluto quelli che hanno televisori appesi ad una parete. Programmi e partite meglio vederseli a casa e mangiare con la TV accesa è una pessima abitudine. L’ambiente deve essere curato, pulito e ordinato e assolutamente non lussuoso (lusso e cucina stridono fortemente), meglio invece se piacevolmente arredato, anche in modo caratteristico e in una posizione o località che aggiunga valore, come panorami, esposizione, storia o altro. Il servizio deve essere all’altezza del locale e il personale non deve essere né troppo invadente né troppo assente. Meglio se così preparato da prevedere in anticipo ogni richiesta del cliente anche se certa clientela è molte volte esageratamente pretenziosa e spesso senza ragione, in altri termini incontentabile. Sempre a mio giudizio è bene informarsi prima sulle specialità del cuoco o del luogo specialmente se rappresentano una specifica tipicità locale. In questo caso si tratterebbe di un’occasione da non lasciarsi sfuggire. Se non si ha una conoscenza adeguata in merito ai vini è sempre buona regola chiedere consiglio al cameriere o al sommelier o al titolare per una scelta oculata, privilegiando i vini locali. Perciò, andando alla ricerca dei ristoranti che abbiano i requisiti che vi siete fissati si dovrebbe fare in modo di scegliere quei locali di cui si è certi in primis della professionalità del cuoco, della genuinità dei cibi, della varietà dei piatti e infine del servizio. Molti sicuramente aggiungerebbero il prezzo ma personalmente ritengo che per un pasto che risponda a questi requisiti, l’aspetto economico sia marginale.

Il secondo criterio è proprio la scelta dei cibi. Come accennato, molto spesso quello che si ordina al ristorante è all’incirca ciò che ci si cucina a casa; vuoi per una curiosità volta a misurare le proprie capacità culinarie paragonando il piatto del cuoco professionista con ciò che si sa fare a casa, vuoi per una sorta di pigrizia che fa propendere a mangiare le solite cose rinunciando ad avventurarsi per pietanze mai provate, infine perché spesso si va a mangiare in compagnia e ci si accomuna alle scelte della maggioranza per non far impazzire la cucina con comande a mosaico. A mio parere, invece, mangiare al ristorante potrebbe essere l’occasione di provare proprio quei piatti che normalmente a casa non si preparano e l’Italia, fortunatamente, ha una varietà di tradizioni culinarie spaventosamente vasta, regione per regione. Quindi provare qualcosa di nuovo e ben cucinato, lo si può solo al ristorante. I miei personalissimi criteri ad esempio sono di evitare, nei limiti del possibile, di ordinare le insalate, perché per quanta fantasia ci si possa mettere, non richiedono una lavorazione impegnativa da parte del cuoco. Meglio a questo punto delle verdure cotte. Così come evitare di ordinare bruschette, formaggi e affettati sempre che non siano delle eccellenze tipiche della regione. Altri piatti da evitare quelli che portano nomi strampalati per camuffare i soliti piatti di tutti i giorni, tipo “cuore di salmone norvegese aromatizzato alle erbe di Provenza su letto di rucola selvatica”. Il salmone sarà anche norvegese ma sicuramente congelato, le erbe di provenzale hanno solo il nome e la rucola selvatica è quella che si trova in qualsiasi mercato rionale, assolutamente mai di prato che è ormai quasi introvabile.

Sotto l’effetto dell’appetito si possono immaginare le cose più fantasiose ed è facile quindi rimanere affascinati da così invitanti sentenze. Meglio pensare prima a ciò che si vuole veramente gustare e avere magari l’ardire di chiedere al cuoco di modificare certe pietanze aggiungendo o togliendo alcuni ingredienti per meglio soddisfare i gusti personali, ad esempio sale, aglio, glutine o altro a cui a volte si è intolleranti. Il rischio è che il cuoco, specie se professionista di un certo livello, possa risentirsi nel vedere non apprezzate le sue “invenzioni” ma basta spiegare che ognuno ha i suoi gusti e che le vostre richieste servono solo a farvi apprezzare meglio la sua “arte”. Purtroppo in alcuni locali, certi cuochi moderni, forti delle loro indiscusse capacità o della popolarità acquisita, scambiano il ristorante come il loro atelier dove esibirsi, trascurando che i loro clienti sono commensali ansiosi di sedersi a tavola e non visitatori amanti dell’arte. Troppo spesso, questi ultimi si lasciano abbindolare dall’alone di leggenda che aleggia attorno a tali personaggi, per poi raccontare agli amici di essere stati a cena da Tizio o da Caio, piuttosto che in questo o in quel ristorante magari vantandosi di aver speso cifre iperboliche per vini pregiatissimi e pietanze altisonanti. Proprio a questa categoria di clienti suggerirei di porsi delle domande e cominciare a seguire dei criteri più consoni all’occasione.

L’Italia è anche il paese della pizza e anche se qui non si tratta di arte culinaria, resta comunque un’eccellenza tutta italiana che da sempre tutti i paesi del mondo cercano di imitare. Ovviamente tutto quanto detto sopra in merito alla scelta del ristorante qui perde ogni significato. Mangiare in pizzeria è in genere un momento di goliardia soprattutto fra i giovani, ma anche per le famiglie o vecchi amici. Non si ha il dilemma del vino che in genere è sostituito dalla birra e anche il portafogli ne soffre poco. A voi la scelta e… buon appetito!

© Copyright Mariano Serrecchia 2016

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